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Enrico Amici

Convivenze 02/05





Erri De Luca     scrittore

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Nel recinto del tempo perduto si sconta il debito penale.

La comunità si fa rimborsare il reato con lo spreco della vita rinchiusa.

Ma non le basta la pena espiata fino al termine assegnato.

Contro il colpevole essa conserva intatto il rancore, come al giorno uno.

Per la comunità il detenuto è tale anche dopo il rilascio, avanzo da discarica.

La prigione non rieduca i prigionieri ma neanche i carcerieri,

recidivi nel rancore. La comunità che impone il riscatto del tempo rinchiuso,

non ammette redenzione. Il debito è sempre insolvibile. Perchè questa comunità

nostra è ammalata di carcere. “Vagli a spiegare che è primavera / e poi lo sanno

ma preferiscono / vederla togliere a chi va in galera”. De Andrè si è impicciato di prigioni.

Questa comunità nostra esalta il carcere, lo somministrerebbe anche per le infrazioni stradali, come si fa nella scrupolosa America, patria di tre milioni di detenuti fissi.

Questa comunità nostra si droga di galera altrui, sedativo dei suoi incubi.

Ci sbatte dentro un terzo di stranieri, un terzo di tossici, un terzo di altro

e frulla il tutto al diavolo. E' il censo a stabilire chi sta dietro i cancelli o fuori,

non il reato. La prigione non è l'ultimo gradino. Al di sotto esistono i Centri

di Permanenza Temporanea, campi di concentramento per stranieri senza colpa penale,

comunque privati di libertà, senza neanche i minimi diritti dei prigionieri, come

l'assistenza medica e legale. Questa comunità nostra si barrica contro la voce degli “umiliati e offesi”, come recita il titolo di Primo Levi, buono da leggere, facile da dimenticare. Allora si è nel punto morto di giustizia e pietà, che sempre vanno insieme

alla malora. Si è nel punto in cui resta l'invettiva a contrappeso. La mia è: diritto di fuga

da queste reclusioni, dalle prigioni, dai CPT, dai manicomi, dagli zoo (questa magari piace),

dalle gabbie appese fuori dai balconi, dai laboratori delle cavie, diritto di clandestinità,

di nascondersi, essere latitanti, fare carte false. La reclusione è marcia e fa marcire

la società che se ne vanta. Un giorno spariranno le prigioni, come tutti gli edifici

del tempo, spariranno come gli altoforni della siderurgia piazzati sulla perfetta baia

di Bagnoli. Resteranno capannoni vuoti, opere dell'industria del tempo buttato.

I superstiti venuti dopo si chiederanno: servivano a cosa? A niente, a ridurre a niente il

tempo da scontare. Erano annientatori di tempo? Si, la loro religione richiedeva sacrifici umani, non sopra agli altari, ma nei cunicoli sbarrati. Staccavano dalle esistenze quarti

di vita e li annientavano. Rabbrividiranno di disgusto di noi.



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© Enrico Amici 

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